Antichi Riti
Nella civiltà agro-pastorale che ha caratterizzato il nostro paese dalla sua origine fino ai nostri giorni, ogni momento significativo della vita sociale veniva regolato e scandito da una serie di riti o cerimonie, di “passaggi codificati” i quali, nel loro ripetersi (tradizioni) sorreggevano la struttura sociale contadina indicando i modelli comportamentali e le norme da seguire. La condivisione di eventi e la partecipazione a riti fungevano da collante sociale e la vita di ogni individuo veniva segnata da “cicli cerimoniali”. Molte tradizioni giunte fino ai nostri giorni, mantengono invece nella struttura elementi primordiali che ci fanno ipotizzare sovrapposizioni Cristiane ad ataviche ritualità agresti. L’eterna lotta tra bene e male, i riti primaverili della fertilità e i riti di passaggio sono presenti e ben visibili agli occhi attenti di chi vuol vedere.
Di seguito riportiamo alcuni riti (magico/religiosi e stagionali) tra i più significativi e ancora vivi nella nostra memoria:
LA PASQUARELLA(5 Gennaio)
Durante la sera del 5 gennaio, “allegre brigate” vanno cantando di casa in casa “la Pasquarella” .
Alcune strofe:
Quella vigna che voi ci avete
pozza fa cento barili,
ogni vite ‘na cupella;
Viva, viva la Pasquarella!
Se mi date un sanguinaccio
Me lo friggo alla padella
E fra zucchero e cannella
Viva, viva la Pasquarella!
Me ‘lla ittu lu vecinatu,
che ‘llu porcu l’ha ammazzatu.
E sse dici che non è vero,
qua de fori c’è lo pelo.
Fate Pasqua felici e contenti
E che il Signore ve pozza aiutà!
Gesù Bambino! Venitelo a vedè.
Quant’è Carino!
CALENNEMAJU PAGANICHESE (I Maggio)
Dietro la celebrazione di questi riti si celano significati profondi. In antichità, negli insediamenti di origine agro-pastorale come il nostro erano molto diffuse le celebrazioni di riti propiziatori. Tra i riti di origine pagana, i più frequenti erano volti alla fecondità della terra ed al ringraziamento per il ripetersi di eventi naturali favorevoli. Questi riti venivano celebrati in primavera, proprio in concomitanza con il risveglio della natura dal torpore invernale. In questo giorno quindi due rituali significativi si ripetono nel nostro paese da molti secoli.
Il rito del “Calennemaju” e la consumazione del piatto tipico dei “Vertuti” (da vertere, mescolare – gli avanzi degli arconi che custodivano granaglie e legumi – o da “virtu”, etc….) zuppa di legumi e cereali (fave, fagioli, ceci, grano, granturco …) aromatizzata con foglioline di timo selvatico (u sarpullu) raccolte la mattina stessa prima che vengano raggiunte di primi raggi di sole ed insaporita dall’aggiunta di olio a crudo.
La mattina, digiuni, si consuma il rito del “Calennemaju”.
Si sbucciano tre noci e si immergono in un bicchiere colmo di vino pronunciando la seguente frase:
San Felippu e Jacu
Faccio a Calennemaju
Se moro affonno
Se no retorno
Se le noci emergono la stagione sarà propizia e libera da malanni.
IL BALLO DELLE PANTASIME (festeggiamenti di Agosto)
Il mascheramento, il ballo, il fuoco, sono i tre elementi simbolici rappresentati. I fantocci costruiti su un telaio di canne intrecciate e rivestiti di carta coloratissima, sono grotteschi, terrificanti e vitali.
La loro ambivalenza sta nel contrasto tra il terrore che incutono e la licenza che esercitano. Compaiono così, all’improvviso, a notte tarda, a conclusione della festa. Iniziano a ballare (sorrette al loro interno da abili ballerini) incalzate da un ritmo ossessivo e frenetico e continuano la loro danza nonostante sia dato loro fuoco. I ballerini incuranti delle fiamme si fanno un punto d’onore nel resistere più a lungo al loro interno. La festa termina con l’espulsione degli spiriti maligni e le pantasime bruciano ormai inermi divorate dal fuoco purificatore.
La Pantasima – Come baccanale (1)
(di Sergio Spagnoli – Luglio ’97)
Un peana (2), un fescennino (3)
A Priàpo (4) e dea Flora (5),
Un pernacchio all’ultimora (6)
Ammannita dal destino,
Uno strappo all’equilibrio
Di chi soffre sottomesso
La metafora del sesso
Nel concetto di Ludibrio (7),
Una rivolta contro il Mondo,
Una saga libertaria
Celebrata in girotondo
Le narici verso l’aria.
E’ la folla che lo vuole
E’ la folla che lo sente
E’ la folla che non mente
E’ la folla liberata
Santa (8) folla assatanata
Che dimentica dov’è
Che dimentica chi è,
Eccitata dal contatto,
Che si stringe in un abbraccio,
Una, folle e assai più forte
Della vita e della morte.
Un momento delirante
Che Dionisio (9) consente,
Tra beffardo e accattivante,
A ristoro della mente.
Note
1) nell’antica Roma, festa orgiastica del culto orfico-dionisiaco (v. anche sotto al n° 9);
2) canto corale in onore di una divinità o, anche, di guerra o di vittoria;
3) antico carme o canto popolare, salace, sfrenato, licenzioso;
4) dio romano della virilità;
5) dea romana delle messi e della fertilità;
6) la morte;
7) riferimento alla repressione moralistica della sessualità e della carnalità del sesso;
8) in senso ironico;
9) dio greco dell’entusiasmo e del vino.
(dal Giornalino La Pietrascritta – a cura di Anastasio Spagnoli, Sergio Spagnoli, Danilo D’Ignazi)